Tutti pazzi per Joker (Folie à Deux)

...il Joker non è più un individuo, ma un’idea. Un’idea che si radica nella follia collettiva, nel "sonno della ragione" che, come diceva Goya, "genera mostri"....

(Contiene Spoiler)

Dopo il successo di “Joker” (2019), che ci ha mostrato l’origine della follia di Arthur Fleck e la sua trasformazione nel Joker, “Joker: Folie à Deux” riprende quella storia da una prospettiva diversa, rivelando una sorprendente verità: il primo film non era semplicemente la storia “vera” di Arthur, ma una rappresentazione cinematografica basata su eventi accaduti dieci anni prima in Folie à Deux. Questo sequel non solo sfida il pubblico a riconsiderare ciò che è realtà e ciò che è finzione, ma esplora nuovi strati di complessità psicologica e sociale, arricchiti da uno stile visivo e narrativo audace e innovativo.

Una nuova narrazione: dal singolo alla collettività

Il punto cruciale che distingue questo secondo capitolo dal primo è proprio la sua natura meta-cinematografica. Se nel primo film abbiamo seguito la progressiva caduta di Arthur Fleck nella follia e nella violenza, qui scopriamo che ciò che abbiamo visto era, in realtà, una sorta di film nel film, una versione romanzata degli eventi che hanno portato Arthur in prigione, trasformandolo da persona a personaggio pubblico. Arthur non è più solo una vittima della società o un’icona anarchica, ma diventa un catalizzatore del lato oscuro degli altri, inclusa la psiche fragile di Harley Quinn e di altri personaggi che incontriamo lungo il percorso.

Questa è una delle intuizioni più potenti del film: Joker non è più una persona, ma un simbolo. Un simbolo del caos e della “follia condivisa” che dilaga in un mondo in crisi. La “folie à deux”, il termine che dà il titolo al film, si estende oltre la relazione tra Joker e Harley Quinn: è un concetto che riflette la frattura collettiva della ragione in una società che si rifugia nel delirio.

Realtà e delirio: un balletto tra i mondi

Uno degli elementi più suggestivi di “Joker: Folie à Deux” è il suo continuo alternarsi tra la realtà e il delirio visionario di Arthur. Todd Phillips utilizza l’espediente del musical per rappresentare in modo visivamente e sonoramente potente il momento in cui Arthur perde il contatto con la realtà. Le sequenze musicali, che irrompono in scene di apparente quotidianità o dramma, sono un modo brillante per rappresentare la dissociazione mentale di Arthur. Il musical, un genere solitamente associato a sentimenti di gioia e leggerezza, qui assume un significato disturbante, diventando la forma attraverso cui la mente di Arthur si sgretola e trascina con sé coloro che lo circondano.

Harley Quinn: vittima e complice

Il personaggio di Harley Quinn, interpretato da Lady Gaga, è un altro dei punti di forza del film. Harley non è semplicemente un’altra vittima della manipolazione di Arthur, ma un personaggio con una sua autonomia emotiva e una fragilità psicologica già presente. La sua trasformazione in complice e partner di Arthur non è un semplice atto di seduzione o manipolazione, ma il risultato di una “follia condivisa” che li avvolge entrambi, riflettendo il titolo stesso del film.

Harley Quinn, però, non è l’unica a cadere vittima della follia di Arthur. Nel corso del film, vediamo come altre persone inizino a essere attratte da questo “nuovo Joker”, come fossero mesmerizzate dalla sua visione distorta della realtà. Questo aspetto rende il film molto più che una semplice narrazione sull’ascesa e caduta di un antieroe: si tratta di una critica alla facilità con cui la follia può propagarsi in una società già frammentata e vulnerabile.

Un finale potentemente simbolico

Il finale di “Joker: Folie à Deux” è forse uno dei momenti più significativi e potenti dell’intera pellicola. Arthur muore: non c’è più un uomo dietro la maschera del Joker. Questa morte segna il culmine del suo arco narrativo, ma soprattutto, evidenzia che il Joker non è più un individuo, ma un’idea. Un’idea che si radica nella follia collettiva, nel “sonno della ragione” che, come diceva Goya, “genera mostri”.

Arthur diventa, in un certo senso, irrilevante: ciò che conta è la follia che ha scatenato e che continua a crescere anche senza di lui. In questo senso, il film si allontana dalle convenzioni del genere dei supereroi (o anti-eroi) per abbracciare una riflessione molto più profonda sul potere corrosivo della follia e sulla capacità della società di generare mostri quando abbandona la ragione.