L’AI generativa è ormai una presenza consolidata in molti ambiti, professionali e non. Quando ne sentii parlare per la prima volta, mi sembrò poco più di una curiosità esotica. Dopo aver letto un articolo su Midjourney, mi iscrissi al canale Discord, e il mio primo prompt fu: “rappresenta Midjourney che si guarda allo specchio.”

Ancora oggi mi chiedo: perché un’AI dovrebbe rappresentare se stessa come un essere umano? E perché una donna? Perché non riesce a guardarsi allo specchio? Perché è così triste?
Non credo che un’AI possa essere cosciente di sé, ma è interessante pensare che siamo noi umani a fornirle i dati di partenza. Forse, quell’immagine riflette non tanto l’intelligenza artificiale, quanto le nostre proiezioni e aspettative.
Inizialmente non avevo intuito le potenzialità di questi strumenti. Ora, per quanto ne riconosca la portata, continuo a chiedermi quali conseguenze potrà avere l’AI in un campo complesso come l’espressione artistica. Può davvero l’arte, così intrinsecamente legata alla coscienza umana, essere mediata da una macchina? O stiamo creando una nuova forma d’arte, dove l’artista e l’AI si fondono in un’unica entità creativa?
Arte e AI: uno sguardo nuovo sul processo creativo
Strumenti come Midjourney o DALL-E permettono di creare immagini partendo da semplici descrizioni testuali, e questo ha aperto una questione cruciale: è possibile fare arte senza conoscere le tecniche che, fino a poco tempo fa, erano considerate indispensabili per creare un’opera visiva?
Persone che non hanno mai studiato disegno o pittura possono ora trasformare una semplice idea in un’immagine complessa e dettagliata. Ma cosa implica questo? Se non c’è bisogno di anni di formazione o di esperienza pratica, il valore dell’opera finale ne risente? E soprattutto, possiamo ancora definirla arte?
L’essenza dell’arte: espressione o abilità?
Ciò ci porta a riflettere su cosa sia, in effetti, l’arte. È l’idea a essere fondamentale, o è la capacità tecnica dell’artista a darle valore? Chi sostiene che l’arte risieda nell’espressione dell’idea potrebbe non considerare rilevante come quell’idea venga tradotta in un’immagine, ma solo il messaggio che trasmette. Il punto, quindi, non sarebbe l’abilità manuale o la tecnica utilizzata, ma la potenza evocativa dell’opera, la sua capacità di suscitare una reazione emotiva o intellettuale.
Dall’altro lato, però, c’è chi insiste che l’arte sia intrinsecamente legata alla maestria tecnica. Non è solo l’idea che conta, ma anche il processo, la fatica e la conoscenza che permettono a quell’idea di prendere forma in modo autentico. In questa visione, l’arte richiede tempo, pratica e una certa padronanza degli strumenti – sia che si tratti di pennelli, scalpelli o software digitali.

La questione etica: chi è l’autore?
A tutto questo si aggiunge un altro dilemma: chi è l’autore vero e proprio dell’opera creata con l’ausilio dell’AI? Se l’intelligenza artificiale genera un’immagine, quanto è merito dell’essere umano che ha inserito il prompt e quanto del programma stesso? Fino a che punto possiamo attribuire la paternità dell’opera al “creatore” umano?
Ripensare l’arte nell’era dell’AI
Alla fine, non sono in grado di dare una risposta definitiva, ma mi chiedo se non dovremo riconsiderare il modo in cui vediamo l’arte e la creatività. L’evoluzione tecnologica ha sempre avuto un impatto sul mondo artistico, ampliando i confini di ciò che consideriamo possibile o valido. Forse questa “arte senza arte” non è altro che una nuova fase del percorso artistico, un’estensione delle possibilità creative che riflette i tempi in cui viviamo, in cui la maestria non si esercita più su pennelli o scalpelli, ma sull'”arte del prompt”.
